A causa delle avarie frequenti della piattaforma IlCannocchiale, dove - in 4 anni e 5 mesi - il mio blog Vincesko ha totalizzato 700.000 visualizzazioni, ho deciso di abbandonarla gradualmente. O, meglio, di tenermi pronto ad abbandonarla. Ripubblico qua i vecchi post a fini di archivio, alternandoli (orientativamente a gruppi di 5 al giorno) con quelli nuovi.
Post n. 55 del
07-03-11 (trasmigrato da IlCannocchiale.it)
Il Sig. Giulio T.
ed il principio di Peter/4/Zelig
Continuo il discorso sul
Ministro incompetente dell’Economia, Giulio Tremonti, ripubblicando un mio post del giugno scorso (in un altro
forum), appena appena aggiornato.
Dopo aver letto questo durissimo,
acuto ed esauriente articolo di Franco Monaco sul ministro dell'Economia, che
si chiude con "Non è sorprendente
che, magari solo per fare dispetto a Berlusconi, si dia credito a uno
così?", cioè con un giudizio pesantemente negativo, ho ripubblicato in
calce all'articolo, volentieri ed anche - chiedo scusa per la debolezza - con
un certo, comprensibile compiacimento, il mio profilo psico-politico di Giulio
Tremonti (ripubblicato qui nel post/1)
non a caso col titolo "Il Sig. Giulio T. ed il principio di Peter",
e, prima, quasi un anno e mezzo fa, nell’agosto 2009, su Europa (ma ancora prima in un altro forum di politica, e son cose
che penso da una decina d'anni), che ne anticipava gran parte del contenuto.
Nell’articolo, si cita anche
lo sperpero di denaro del salvataggio dell’Alitalia e dell’abolizione dell’ICI;
e si bolla come propagandistica la misura sull’art. 41 della Costituzione, poi
riproposta quest’anno (2011) dal duo Berlusconi-Tremonti.
Noto anche con piacere che
anche Franco Monaco esprime un giudizio positivo sull'efficacia e la durezza
degli ultimi interventi (2010) di Pierluigi Bersani.
23 giugno 2010
SuperGiulio o solo Zelig?
Franco Monaco
Con piacere ho riscontrato, in qualche confronto televisivo recente, un
Bersani tosto, che le cantava chiare a Tremonti, non facendosi intimidire dal
suo saccente pierinismo. Mi è sembrata pertinente ed efficace la tesi più volte
ribadita dal segretario Pd.
E cioè siamo pronti a discutere di tutto, ma a una condizione: che
finalmente si pronuncino parole di verità e soprattutto (traduco e chiedo
scusa) che la si finisca di prenderci per i fondelli. Mi chiedo spesso perché
mai, a sinistra, politici di primo piano diano credito a Tremonti. Forse – mi
rispondo – perché, dentro un governo che di sicuro non brilla per competenze e
per cultura, egli rappresenta la rara eccezione di persona che ha fatto qualche
buona lettura e che non si risparmia nell’esibirla con sussiego. Dunque,
possiamo tradurre così, la cosa si spiega con il proverbiale elitarismo della
sinistra e, rispettivamente, con il deficit culturale di una destra nella quale
Tremonti farebbe eccezione.
Tuttavia, come qualcuno ha osservato di recente, il ministro
dell’economia va misurato sul piano dell’azione e non delle teorie o
dell’ostentata erudizione, sulla politica economica e non sulla filosofia della
storia. Ed è su tale più appropriato terreno che si impone un giudizio
decisamente severo. In primo luogo sul bilancio della sua azione. Come per
Berlusconi, anche per Tremonti, vale il principio secondo il quale è tempo di
chiedere conto di lunghi anni nei quali egli è stato il dominus della politica
economica. Quale il consuntivo: su crescita, liberalizzazioni, debito, deficit,
mezzogiorno, lotta all’evasione, equità sociale? Quali le riforme legate al suo
nome? Un bilancio reso difficile soprattutto dal suo funambolismo: egli davvero
ha recitato tutte le parti in commedia. Dapprima ostile all’euro e ai vincoli
comunitari e ora arcigno guardiano di essi; campione della finanza creativa e
delle cartolarizzazioni e poi cantore dell’economia produttiva; rigorista oggi
ma autore ieri di una sequela di condoni e di scudi fiscali che premiano e
incoraggiano i grandi evasori; prima liberale, poi colbertista censore del
mercatismo e infine di nuovo convertito a una costituzione economica di stampo
radicalmente liberista al punto da proporre la riscrittura dell’articolo 41 ove
la libertà economica è coniugata con l’utilità sociale. Palesemente un
diversivo a giustificazione delle liberalizzazioni mancate o addirittura
revocate.
Non più tardi del novembre scorso, all’università Cattolica che
imprudentemente gli aveva affidato la prolusione dell’anno accademico su un
tema di scienza economica (Tremonti non è un economista e non ci sono
precedenti di una prolusione affidata dalla Cattolica a un ministro in carica)
accreditandolo come teorico dell’economia sociale di mercato, egli tesseva
l’elogio della dottrina sociale della Chiesa e, segnatamente, dell’enciclica
sociale Caritas in veritate. Segnalo che, indiscutibilmente, uno degli articoli
della Costituzione della repubblica più conformi alla dottrina sociale
cristiana, è appunto quello che oggi Tremonti e Berlusconi vorrebbero
riscrivere. Se è vero che, per l’etica sociale cristiana, l’economia va
concepita come attività etica da inscrivere nel quadro del bene comune e il
diritto naturale alla proprietà privata è a sua volta da armonizzare con la
destinazione universale dei beni. In questa nuova recita tremontiana si
inscrive la sua bizzarra uscita recente in sede Cisl sulla dura vertenza Fiat
di Pomigliano ove l’accordo è stato da lui rappresentato come modello per chi
si ispira all’economia sociale di mercato. Che c’entra? Anche io penso che sia
ragionevole e responsabile che i sindacati diano l’assenso alle pur pesanti e
ultimative condizioni poste da Marchionne. Ma è questione pratica, un
compromesso obbligato. Il cuore dell’economia sociale di mercato non è la
rinuncia unilaterale al conflitto ma appunto la finalizzazione etico-sociale
della stessa iniziativa economica. Proprio ciò che si vorrebbe cambiare in
Costituzione. Di questa babele, alimentata dal fumo ideologico e
propagandistico di Tremonti, è sintomatica la circostanza che quella sua uscita
sull’articolo 41 non abbia suscitato reazioni in sede Cisl, un sindacato che affonda
le sue radici in quel pensiero sociale cristiano di cui quell’articolo è
impregnato.
Ancora: Tremonti sferza gli economisti perché, a differenza di lui, non
avrebbero previsto la crisi internazionale ma per lungo tempo ha fatto da
spalla al querulo ottimismo del premier, dissipando risorse (Alitalia, Ici) che
sarebbero venute utili oggi dentro una crisi che si è fatta drammatica.
La disinvoltura, la spregiudicatezza dell’uomo, vero e proprio zelig
della politica italiana, si rinviene anche sul piano più strettamente politico.
Solo per memoria: in origine uomo di area socialista è ora tra gli esponenti di
punta della destra italiana; candidatosi per la prima volta nel 1994 nelle
liste centriste di Segni e Martinazzoli il giorno dopo le elezioni passò con
Berlusconi assumendo direttamente la responsabilità di ministro; sta
formalmente nel PDL ma il suo effettivo riferimento politico e il partito che
più lo sostiene è semmai la Lega; intestatario di un potere esorbitante nei
confronti degli attori economici industriali e finanziari, ama recitare la
parte dell’uomo del popolo, del censore dei potenti, specie quando, con sovrano
snobismo, si esibisce quale comiziante nella assemblee leghiste, ove mena vanto
di non leggere libri. Non è sorprendente che, magari solo per fare dispetto a
Berlusconi, si dia credito a uno così?
link sostituito da:
Puntate precedenti:
post/1/Profilo http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2554804.html
post/2/Stato disossato http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2598517.html
post/3/Carattere http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2600829.html
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