Nei
giorni scorsi, alcuni importanti giornali europei ed americani (in ordine cronologico, El Pays, Le Monde,
Financial Times e Wall Street Journal) hanno analizzato
criticamente l’economia italiana, arrivando a parlare di Italia come malata
d’Europa. Vediamo allora di capire se questo severo giudizio è giustificato e,
nel caso, perché.
Avanzo
primario e deficit.
Se c’è avanzo primario,[1] la
politica economica non è espansiva, poiché sottrae risorse all’economia reale.
Anche considerando il deficit[2] e
quindi includendo gli interessi passivi, questi per 1/3 vanno all’estero e per
il resto restano nel circuito finanziario[3]
e non vanno a finanziare investimenti. Basta fare allora un’analisi comparativa
del dato del deficit/Pil[4] per
capire che nei 7 anni di crisi i Paesi di appartenenza dei giornali che
criticano l’Italia, in particolare la Spagna e la Gran Bretagna (per gli USA il
discorso è analogo, il deficit raggiunse il 10% per poi calare gradualmente), a
differenza dell’Italia hanno beneficiato di una forte politica di deficit spending.
Ne discende, allora, che il giudizio
degli importanti giornali è viziato almeno un po’ da ignoranza o, più
probabilmente, da malafede.
Debito
pubblico.
Si obietta che l'Italia ha, però, un altissimo debito pubblico (che, intanto,
durante la crisi è cresciuto meno che negli altri Paesi e nel lungo termine è il più sostenibile); questo è vero, ma con
alle spalle una banca centrale degna di questo nome, come dimostrano gli USA,
il Giappone o la Gran Bretagna, e perfino l’Eurozona a partire dal marzo 2015
(varo del QE), il debito pubblico non è un grosso problema.
Il
debito pubblico, inoltre, non va ridotto in recessione o stagnazione, sarebbe
una misura pro ciclica ed aggraverebbe la crisi, a meno che non lo si faccia
prendendo i soldi al 5% più ricco, a bassissima propensione al consumo.
Crescita. Per le cose da fare e dove destinare
i soldi, l’ho già scritto, sono d’accordo col governatore Ignazio Visco che,
nella sua Relazione 2016 (sul 2015), ha chiesto “un rilancio
degli investimenti in costruzioni, indirizzato soprattutto alla
ristrutturazione del patrimonio esistente, alla valorizzazione delle strutture
pubbliche e alla prevenzione dei rischi idro-geologici, [che] avrebbe effetti
importanti sull’occupazione e sull’attività economica”. (pag. 9). Ai quali,
però, aggiungerei la green economy e un Piano pluriennale di alloggi pubblici di qualità
(scandalosamente carenti in Italia), da locare ad affitto sociale. Il
governatore ha aggiunto: “Per sostenere una ripresa più rapida e duratura è
necessario il rilancio di investimenti pubblici mirati, anche in infrastrutture
immateriali, a lungo differiti; sono importanti un’ulteriore riduzione del
cuneo fiscale gravante sul lavoro, il rafforzamento di incentivi per l’innovazione,
il sostegno ai redditi dei meno abbienti, particolarmente colpiti dalla crisi.
Se i margini oggi disponibili nel bilancio sono limitati, è comunque possibile
programmare l’attuazione di questi interventi su un orizzonte temporale più
ampio”. (pagg. 12-13). A parte la riduzione del cuneo fiscale, che in una crisi
da domanda è una palese incongruenza, gli altri punti sono condivisibili, ma
rinviati sostanzialmente alle calende greche. Ovviamente è un’eresia per Visco
suggerire di prendere i soldi ai ricchi.
Conclusione. La questione, a mio avviso, va al di là
delle ideologie economiche ed è di una semplicità solare: è necessario
implementare una politica economica anticiclica, espansiva in periodi di vacche
magre (come oggi, anzi da 8 anni!), restrittiva in fasi di vacche grasse
(quindi occorre evitare gli eccessi anche del keynesismo).
Come dimostrano i governi di tutti i colori: ad esempio, appunto, gli USA
keynesiani, la Gran Bretagna neo-liberista, la Spagna neo-liberista, la Francia
prima neo-liberista e poi sedicente keynesiana, il Giappone (destra e
sinistra), tutti Paesi in cui si sono registrati durante la crisi deficit fino
al 10% del Pil e aumenti del debito pubblico maggiori di quello italiano. I
consumi languono sia perché chi ha i soldi è restio a spenderli, sia perché i
soldi negli ultimi 20-30 anni si sono concentrati nelle fasce alte, a bassa
propensione al consumo, e ridotti nelle fasce basse, ad alta propensione al
consumo. Occorre perciò redistribuirli ed invece si continua a fare il
contrario. Il debito pubblico non è un grosso problema se lo Stato ha alle
spalle una banca centrale degna di questo nome; in recessione o stagnazione
ridurlo tagliando la spesa (quella italiana è globalmente in linea o sotto la
media UE) o aumentando le tasse non è una priorità, anzi è esiziale, a meno che
non lo si riduca mediante un prelievo straordinario sulla ricchezza del 5% più
ricco delle famiglie, a bassissima propensione al consumo.
PS: Dai dati EUROSTAT relativi al
deficit/Pil, si evince facilmente che la Germania, Paese leader UE e
avvantaggiato dalla moneta unica, non solo si rifiuta di fare da locomotiva
d'Europa come i suoi conti pubblici le permetterebbero, beneficiando i Tedeschi
stessi, e la sua posizione di leadership le imporrebbe, ma vieta, attraverso la
Commissione europea, a Paesi come l'Italia di fare una politica fiscale
espansiva e all'Europa di fare altrettanto. Questa rigidità egoistica ed ottusa
- deleteria per l'Italia - rischia di avere prima o poi, come ha avvertito il
premio Nobel Joseph Stiglitz sul Financial
Times dello scorso 17/8, effetti devastanti sulla tenuta dell'Unione
europea.
PPS:
Allego l’articolo di Joseph Stiglitz:
August
17, 2016 4:32 am
A
split euro is the solution for Europe’s single currency
Joseph Stiglitz
The problems with the structure of the eurozone may be
insurmountable, writes Joseph Stiglitz
Traggo dall’articolo originale di Joseph
Stiglitz il passo relativo alle soluzioni (con l’avvertenza importante che egli
ignora che il mandato della BCE è duale – non solo stabilità dei prezzi ma
anche sostenere le politiche economiche dell’UE fissate nell’art. 3 del
Trattato UE, tra cui “la piena occupazione” e “una crescita economica
equilibrata” -, in particolare in deflazione o con un tasso d’inflazione EUZ
sensibilmente inferiore al target, che è poco sotto il 2%):
“Le modifiche alle regole necessarie per
far funzionare l'euro sono in senso economico di piccole dimensioni. Un'unione
bancaria comune, cosa più importante l'assicurazione comune dei depositi; norme
intese a restringere i surplus commerciali; e eurobond o qualche altro
meccanismo simile per la mutualizzazione del debito. La politica monetaria deve
concentrarsi maggiormente sull'occupazione, la crescita e la stabilità, non
solo l'inflazione. Nel frattempo, le politiche industriali e le altre politiche
devono essere orientate ad aiutare i paesi ritardatari a raggiungere i leader.
Ancora più importante: un allontanamento dalla austerità verso politiche
fiscali orientate alla crescita. Ma queste sembrano ben oltre le politiche di
oggi dell'Europa, con la Germania che ancora va sostenendo che "L'Europa
non è un'unione di trasferimenti".”.
Note
[1] Avanzo
Primario Italia
(%) 1999=4,9; 2000=5,5; 2001=3,2; 2002=2,7; 2003=1,6; 2004=1,2; 2005=0,3;
2006=1,3; 2007=3,5; 2008=2,5; 2009=-0,7; 2010=-0,10; 2011=1,0; 2012=2,5;
2013=2,2; 2014=1,6; 2015=1,6.
[2] Deficit/Pil
Italia (%)
1999=-2,00; 2000=-0,91; 2001=-3,19; 2002=-3,16; 2003=-3,65; 2004=-3,57;
2005=-4,49; 2006=-3,41; 2007=-1,59; 2008=-2,67; 2009=-5,45; 2010=-4,34;
2011=-3,72; 2012=-2,88; 2013=-2,78; 2014=-3,0; 2015=-2,6.
[3] Fubini del Corriere della Sera disinforma sul
debito pubblico per parare il culo ai ricchi
[4] EUROSTAT – Deficit/Pil
.................2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013
2014 2015
Italia........ -1,5....-2,7...-5,3..-4,2..-3,5..-2,9..-2,9..
-3,0..-2,6
Francia.....-2,5...-3,2....-7,2..-6,8..-5,1..-4,8..-4,0..-4,0...-3,5
Spagna.....+2,0..-4,4..-11,0..-9.4..-9,6.-10,4..-6,9..-5,9..-5,1
Gran Br.... -3,0..-5,0..-10,7..-9,6..-7,7..-8,3..-5,6..-5,6..
-4,4
Germania +0,2..-0,2....-3,2..-4,2..-1,0..-0,1..-0,1..+0,3.
+0,7
Appendice
August
17, 2016 4:32 am
A split euro is the
solution for Europe’s single currency
Joseph Stiglitz
The problems with the structure of the
eurozone may be insurmountable, writes Joseph Stiglitz
That Europe, and especially the eurozone, has not been doing well since the 2008 crisis is beyond dispute. The single currency was supposed to bring prosperity and enhance European solidarity. It has done just the opposite, with depressions in some countries greater than the Great Depression.
To answer the question about what is to be done, one has
to answer another: what went wrong. Some claim that policymakers made a set of
mistakes — excessive austerity and poorly designed structural reforms. In other
words, there is nothing wrong with the euro that could not be fixed by putting
someone else in charge.
I
disagree. There are more fundamental problems with the structure of the
eurozone, the rules and institutions that guide and constitute it. These may
well be insurmountable, raising the prospect that the time has come for a more
comprehensive rethinking of the single currency, even to the point of unwinding
it.
Put simply, the euro was flawed at birth. It was
almost inevitable that taking away two key adjustment mechanisms, the interest
and exchange rates, without putting anything else in their place, would make
macro adjustment difficult. Add to that a central bank mandated to focus on
inflation and with countries still further constrained by limits on their
fiscal deficits, the result would be excessively high unemployment and gross
domestic product consistently below potential output. With countries borrowing
in a currency not under their remit, and with no easy mechanism for controlling trade deficits,
crises too were predictable.
The alternative to adjusting nominal exchange rates is
adjusting real ones — having Greek prices fall relative to German prices. But
there are no rules in place that could force a rise in German prices and the
social and economic costs of forcing Greek prices to fall enough are enormous.
One might dream of Greek productivity growing faster than that of Germany as an
alternative way of “adjusting,” but no one has figured out how to do it. So too
for Spain and Portugal. In the absence of a grand strategy, the troika of
international institutions has flailed around, putting in place new rules for
defining fresh milk or the size of loaves of bread. Whether these are desirable
can be debated; that they are not going to achieve the desired adjustment in
real exchange rates cannot.
The rule changes needed to make the euro work are in
an economic sense small. A common banking union, most importantly common
deposit insurance; rules to curtail trade surpluses; and eurobonds or some
other similar mechanism for mutualisation of debt. Monetary policy to focus
more on employment, growth and stability, not just inflation. Meanwhile,
industrial and other policies should be orientated to helping the laggard
countries catch up to the leaders. Most importantly: a move away from austerity towards growth-oriented fiscal policies. But these seem well beyond the politics of Europe
today, with Germany still arguing that “Europe is not a transfer union”.
Good currency arrangements cannot ensure prosperity;
flawed ones lead to recessions and depressions. And among the kinds of currency
arrangements long associated with recessions and depressions are pegs, where
the value of one country’s currency is fixed relative to another. A single
currency is neither necessary nor sufficient for close economic and political
co-operation. Europe needs to focus on what is important to achieve that goal.
An end to the single currency would not be the end of the European project. The
other institutions of the EU would remain: there would still be free trade and
migration.
It is important that there can be a smooth transition
out of the euro, with an amicable divorce, possibly moving to a “flexible-euro”
system, with say a strong Northern Euro and softer southern euro. Of course,
none of this will be easy. The hardest problem will be dealing with the legacy
of debt. The easiest way of doing that is to redenominate all euro debts as
“southern euro” debts.
As we move to a digital economy, modern technology
enables a set of market-based reforms that can simultaneously achieve the
triple goals of full employment, trade balance, and fiscal balance, through
credit auctions and electronic trade tokens. In the current global system, we
rely on central banks to set interest rates, hoping somehow that the resulting trade balance, investment, and
consumption will be “right.” They typically aren’t. The alternative approach
focuses on the quantities of, say, investment and trade balance, that we need,
and lets the market set the price to achieve this.
Over
time exchange rate variations could become more limited as institutions
develop. The flexible euro is a strategy for incorporating the advances in
economic integration already made while providing the space for reforms.
The single currency was supposed to be a means to an
end. It has become an end in itself — one that undermines more fundamental
aspects of the European project, as it spreads divisiveness rather than
solidarity. An amicable divorce — a relatively smooth end to the euro, perhaps
instituting the proposed system of the flexible euro — could restore Europe to
prosperity and enable the continent to once again focus, with renewed
solidarity, on the many real challenges that it faces. Europe may have to
abandon the euro to save Europe and the European project.
The writer, a Nobel laureate in economics, is author of ‘The Euro: How a
Common Currency Threatens the Future of Europe’
Che
l'Europa, e in particolare la zona euro, non ha fatto bene dalla crisi del 2008
è fuori discussione. La moneta unica avrebbe dovuto portare prosperità e
rafforzare la solidarietà europea. Ha fatto proprio l'opposto, con depressioni
in alcuni paesi superiori alla Grande Depressione.
Per
rispondere alla domanda su cosa si deve fare, si deve rispondere a un'altra:
cosa è andato storto. Alcuni sostengono che i politici hanno fatto una serie di
errori - l'austerità eccessiva e riforme strutturali mal progettate. In altre
parole, non c'è niente di sbagliato con l'euro che non poteva essere risolto
mettendo qualcun altro in carica.
Non sono d'accordo. Ci sono problemi più
fondamentali con la struttura della zona euro, le regole e le istituzioni che
lo guidano e lo costituiscono. Questi possono anche essere insormontabili,
sollevando la prospettiva che è giunto il momento per un ripensamento più
completo della moneta unica, fino al punto di disfarla.
In
parole povere, l'euro è stato viziato alla nascita. Era quasi inevitabile che
togliendo due meccanismi di regolazione chiave, i tassi di interesse e di
cambio, senza mettere niente altro al loro posto, avrebbe reso la regolazione
macro difficile. A questo aggiungete una banca centrale con il mandato di concentrarsi
sull'inflazione e con i paesi ancora di più vincolati da limiti sui loro
deficit fiscali, il risultato sarebbe stato un'eccessivamente elevata
disoccupazione e il prodotto interno lordo costantemente al di sotto del
prodotto potenziale. Con i paesi indebitati in una valuta non sotto la loro
competenza, e senza un facile meccanismo per controllare i deficit commerciali,
le crisi erano troppo prevedibili.
L'alternativa ad aggiustare tassi di
cambio nominali è aggiustare quelli reali - avere prezzi greci che scendono
rispetto ai prezzi tedeschi. Ma non ci sono norme in vigore che potrebbero
costringere un aumento dei prezzi tedeschi e i costi sociali ed economici per
costringere i prezzi greci a calare abbastanza sono enormi. Si potrebbe sognare
che la produttività greca cresca più velocemente di quella della Germania come
un modo alternativo di "regolare", ma nessuno ha capito come farlo.
Così anche per la Spagna e il Portogallo. In assenza di una grande strategia,
la troika delle istituzioni internazionali ha agito in giro, mettendo in atto
nuove regole per la definizione di latte fresco o la dimensione di pagnotte di
pane. Se questi sono desiderabili può essere discusso; che non si è in via di
ottenere l'aggiustamento desiderato dei tassi di cambio reali non si può.
Le modifiche alle regole necessarie per
far funzionare l'euro sono in senso economico di piccole dimensioni. Un'unione
bancaria comune, cosa più importante l'assicurazione comune dei depositi; norme
intese a restringere i surplus commerciali; e eurobond o qualche altro
meccanismo simile per la mutualizzazione del debito. La politica monetaria deve
concentrarsi maggiormente sull'occupazione, la crescita e la stabilità, non
solo l'inflazione. Nel frattempo, le politiche industriali e le altre politiche
devono essere orientate ad aiutare i paesi ritardatari a raggiungere i leader.
Ancora più importante: un allontanamento dalla austerità verso politiche
fiscali orientate alla crescita. Ma queste sembrano ben oltre le politiche di
oggi dell'Europa, con la Germania che ancora va sostenendo che "L'Europa
non è un'unione di trasferimenti".
Buoni accordi valutari non possono
garantire la prosperità; quelli difettosi portano a recessioni e depressioni. E
tra il tipo di accordi di valuta a lungo associato con recessioni e depressioni
sono i ‘ganci’, dove il valore della valuta di un paese è fisso rispetto ad un
altro. Una moneta unica non è né necessaria né sufficiente per una stretta
cooperazione economica e politica. L'Europa ha bisogno di concentrarsi su ciò
che è importante per raggiungere tale obiettivo. La fine della moneta unica non
sarebbe la fine del progetto europeo. Le altre istituzioni dell'UE
resterebbero: ci sarebbe ancora il libero scambio e la libera circolazione
delle persone.
E'
importante che ci possa essere una transizione morbida fuori dall'euro, con un
divorzio amichevole, forse di passare a un sistema di "euro
flessibile", con dire un Euro forte del Nord e un euro più debole del Sud.
Naturalmente, niente di tutto questo sarà facile. Il problema più difficile
sarà che cosa fare con l'eredità del debito. Il modo più semplice di farlo è
quello di ridenominare tutti i debiti in euro come debiti "in euro del
sud".
Mentre
ci muoviamo verso un'economia digitale, la tecnologia moderna consente una
serie di riforme di mercato che possono contemporaneamente raggiungere il
triplice obiettivo di piena occupazione, bilancia commerciale, e l'equilibrio
fiscale, attraverso le aste di credito e buoni di commercio elettronico. Nel
sistema globale attuale, ci affidiamo a banche centrali per impostare i tassi
di interesse, sperando in qualche modo che la risultante bilancia commerciale,
gli investimenti e il consumo saranno "giusti". In genere non lo
sono. L'approccio alternativo si concentra sulle quantità di, per esempio, gli
investimenti e la bilancia commerciale, di cui abbiamo bisogno, e lascia che il
mercato fissi il prezzo per raggiungere questo obiettivo.
Nel corso del tempo le variazioni dei
tassi di cambio potrebbero diventare più limitati come le istituzioni si
sviluppano. L'euro flessibile è una strategia per integrare i progressi in
materia di integrazione economica già effettuate, fornendo lo spazio per le
riforme.
La
moneta unica doveva essere un mezzo per un fine. E' diventata fine a se stessa
- quella che mina gli aspetti più fondamentali del progetto europeo, così come
diffonde divisione piuttosto che solidarietà. Un divorzio amichevole - una fine
relativamente morbida per l'euro, forse istituendo il sistema proposto
dell'euro flessibile - potrebbe riportare l'Europa alla prosperità e mettere in
grado il continente di concentrarsi ancora una volta, con rinnovata
solidarietà, sulle molte sfide reali che essa deve affrontare. L'Europa
potrebbe dover abbandonare l'euro per salvare l'Europa e il progetto europeo.
Lo scrittore,
premio Nobel per l'economia, è autore di 'L'euro: come una valuta comune
minaccia il futuro dell'Europa'
Articolo
collegato:
Gustavo
Piga, commentando un saggio di Hugh
Rockoff della Rutgers University intitolato “How Long Did it Take the United
States to Become an Optimal Currency Area?”, ovvero “Quanto ci hanno messo gli
Stati Uniti a divenire una Area Valutaria Ottimale?”, spiega perché, nonostante i difetti, per l’Unione
Europea è preferibile continuare ad adottare una moneta ed una politica monetaria comune.
Moneta
e bandiera: il se e quando degli Stati Uniti d’Europa
Gustavo Piga
- 18 agosto 2016
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