mercoledì 7 settembre 2016

Dialogo tra icsconzero e me sul profilo psicologico di Silvio Berlusconi e dintorni


Io seguo assiduamente le vicende di Silvio Berlusconi e ne scrivo soltanto quando egli riveste cariche istituzionali o è in grado di condizionare la vita politica dell’Italia. Quando nessuna di queste due condizioni si verifica, sono poco interessato a lui.
Nel 2011, c’erano quelle due condizioni. Riporto questo vecchio, bel dialogo tra icsconzero e me, sul profilo psicologico di Silvio Berlusconi e dintorni, avvenuto nel 2011 in calce a questo articolo:

Concetto Vecchio  -  19 SET 2011


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Traggo dal mio ‘post’ allegato “Il Sig. Silvio B. ed il suo tallone d’Achille/15”
3. Ho già scritto dell’Italia come di un Paese antico, cinico e mammone ed evidenziato inoltre che sono le donne a tenere in piedi elettoralmente Silvio B. Quando ascoltavo i Soloni dell’analisi politologica discettare sulla natura dei rapporti tra Silvio B. ed il suo elettorato (v. anche post/9) e tra Silvio B. ed i suoi collaboratori, mi veniva da sorridere vedendo che non riuscivano a fare 2+2, a ravvisare l’evidente natura maternale di quei rapporti.
Io non credo però, come fa [lo psicologo] Alessandro Amadori, che Silvio B. sia “soltanto” la “madre” degli Italiani, ma più verosimilmente che egli sappia principalmente suscitare sapientemente l’istinto materno e continui quindi a svolgere magnificamente soprattutto il suo (quasi, per fortuna *) irresistibile ruolo di figlio-mammone, ma dal collo taurino.
Egli è mamma solo come proiezione e ad imitazione della sua (cfr. post/1), che ha svolto la funzione educativa senza tenere insieme la dimensione affettiva (amore debordante e incondizionato) con la dimensione etico-normativa: la sola educazione positiva, completa e che costituisce un fattore protettivo enorme; la sola capace di formare individui forti ed equilibrati, e non soggetti deboli come lui, malato di narcisismo, che coltiva un senso di onnipotenza che lo fa credere legibus solutus, pronto a punire chiunque (vedi la Magistratura) osi arrecare offese al suo amor proprio ipertrofico e malato, lesioni alla sua autorità, sconfitte al suo orgoglio di unico ed insostituibile.
http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2629072.html


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Gli utili idioti ed il principio di realtà
Un imbroglione amorale ed incompetente, con grossi problemi anche col principio di realtà, come il Sig. Silvio B. ha potuto far danni per tanto tempo, perché ha potuto contare sull’aiuto gratuito di milioni di utili idioti, piagnoni, con la logica stortignaccola e qualche problema serio col principio di realtà, affezione psicologica che colpisce anche eminenti ministri del governo, come gli incompetenti e dannosi Tremonti e Sacconi, incredibilmente sempre ai primi posti nella classifica di gradimento da parte degli Italiani, per 3 anni con percentuali stabilmente superiori al 60%, il che significa che anche parecchi allocchi di centrosinistra gliela concedevano.

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Silvio B., il bravissimo venditore porta a porta
Per 15 anni, per ragioni professionali, ho avuto a che fare direttamente o indirettamente con la formazione commerciale. Ne ho conosciuto parecchi, di venditori, anche di quelli bravissimi porta a porta, che, sapendola fare, è la modalità di vendita più efficace. Uno dei primi era il presidente di un’azienda che aveva fatto in precedenza una lunga esperienza alla Volwerk Folletto. Quando vedo in azione Berlusconi, mi capita di ripensare a lui: alla sua apparente cordialità, alla sua generosità verso i collaboratori fidati, alla sua capacità recitativa, alla sua brama di gratificazioni, al suo disprezzo di fondo per il potenziale cliente, alla sua spietatezza (appresa dal padre, egli raccontava).
Ma queste caratteristiche sono, o dovrebbero essere, non solo in quelli della Vorwerk Folletto, ma in tutti quelli – bravi – che fanno il porta a porta.
Provo a riportare qualche notazione sulle tecniche di vendita.
Esistono essenzialmente due correnti di pensiero: una che propone una vendita basata sulla manipolazione psicologica del potenziale cliente (in un solo incontro), l’altra che evidenzia invece l’importanza di sapere ascoltare il cliente per interpretarne i bisogni in funzione del prodotto che si vuole dargli, cercando di fare scaturire la decisione di acquisto dalla costruzione di un rapporto di fiducia protratto nel tempo.
Le due teorie hanno pregi e difetti e l’approccio migliore dovrebbe prendere il meglio dell’una e dell’altra.
La scelta quali-quantitativa del mix dipende da due fattori: entrambi sono strettamente correlati alle caratteristiche personali (tecniche e psicologiche) del capo dell’azienda e del singolo venditore: il primo le adotta nella sua azienda, il secondo le impara e le applica sul campo.
E’ quasi superfluo dire che tutte o quasi tutte o la stragrande maggioranza delle aziende che praticano la vendita porta a porta tendono ad adottare una metodica piuttosto aggressiva, e quindi scelgono la vendita manipolatoria, per la quale – attraverso criteri di ricerca/selezione/addestramento/prova mirati allo scopo – impiegano venditori con caratteristiche tali (soprattutto: determinazione, capacità recitativa e spietatezza, il tutto però ammantato da cordialità apparente) da poterla applicare con efficacia/efficienza massime sul campo.
Com’è noto, Silvio Berlusconi, nei suoi seminari politici, ed in fondo anche nei suoi comizi, non fa altro che ripetere quello che ha appreso all’inizio della sua attività lavorativa di – bravissimo, pare –venditore porta a porta.
P.S.: come curiosità, vale la pena soggiungere che, qualunque sia la tecnica di vendita adottata, nei corsi di formazione si suggerisce di evitare di parlare col potenziale cliente di argomenti rischiosi come la politica ed il calcio, perché coinvolgono la pancia.

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Vincesko, ovviamente le pratiche di B. sono pratiche di venditore. La manipolazione è una delle manifestazioni verso il prossimo del disturbo narcisistico. Il narcisista ne ha fatto esperienza diretta a sue spese. Lui era il topo dell’educatore, e ripropone il gioco del gatto e del topo ogni volta. Non esistono sia rapporti stretti. familiari, che allargati, di un narcisista che non sono organizzati secondo questa dinamica. Per cui la manipolazione, e tutto l’armamentario che ne consegue: bugie, lusinghe, rabbia, e preghiera come dice Franco Cordero che coniò il termine Caimano: sorriso, ghigno e lamento. Il venditore di sé narcisista le prova tutte e e prende l’interlocutore per sfinimento fisico e psichico. Quando non riesce con la lusinga, allora tira fuori la rabbia e alla fine il lamento. Un atteggiamento che conosciamo da decenni in B. IL nostro, è un venditore nato, perché è un narcisista cresciuto. E molti italiani sono stati dei polli che hanno abboccato a bocca spalancata. Ma mo basta però.

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@ Icsconzero
Qual è l’eziologia?
Noi ci siamo già incrociati qui e su altri blog. Io non sono uno psicologo, ma ho già ‘postato’ anche qui dentro, sia in passato che in calce al ‘post’ linkato ieri alle 13:01, il profilo psicologico di Silvio B. che, sulla base di un’intuizione-deduzione che risaliva a qualche anno prima, elaborai nel 2003 e che inviai a “Repubblica”, intitolato “Il mammone dal collo taurino ed il suo tallone d’Achille”. Perché i problemi di Berlusconi – la sua vaga (?) schizofrenia ed il suo narcisismo, che sono degli effetti -, evidenti già oltre 10 anni fa, secondo me sono riconducibili soprattutto al rapporto con sua madre (anche uno psicanalista lo confermava l’ottobre scorso su Radio3-Tutta la città ne parla), figura autoritaria e cattiva educatrice, alla quale, come si sa, era legatissimo, ed anche al probabile cattivo rapporto con suo padre (classico incrocio del complesso edipico), del quale lui non parla mai.
E’ utile, per cui vorrei sottolineare l’eziologia del disturbo.
Anche il Prof. Cancrini, su l’Unità del 7-11-2010, scrisse:
”Le esperienze infantili che preparano l’hardware del disturbo narcisistico sono collegate regolarmente ad un clima familiare in cui il bambino ha ricevuto una adorazione e un amore disinteressati ma fuori misura in quanto non accompagnati da una sufficiente empatia e da una genuina presentazione dei fatti”.
Riporto il profilo psicologico che, da non esperto, elaborai nel 2003 e che inviai al quotidiano ‘la Repubblica’ (v. ‘post’ allegato ieri, in cui ho raccolto una serie di miei ‘post’ su di lui, sua madre, suo padre, i suoi figli, articoli di Scalfari con confidenze di Ciampi e Napolitano, ecc.).
IL SIG. SILVIO B., IL MAMMONE DAL COLLO TAURINO ED IL SUO TALLONE D’ACHILLE
(Versione elaborata nel maggio 2003, inviata a la Repubblica, appena appena aggiornata)
Adottando un approccio psico-politico nell’analisi dei fatti e dei personaggi della vita politica nazionale, uso definire da una decina d’anni il Sig. Silvio B. un “mammone dal collo taurino”: un evidente – apparente – ossimoro, indicativo di una personalità complessa, vagamente (?) schizofrenica (“condannato” a recitare più parti in commedia: lui, tutte!).
Del mammone ha il carattere viziato, vittimista, bisognoso di protezione (P2, legami politici), egoista, autoassolutorio, dall’amor proprio ipertrofico e malato (che lo rende molto vulnerabile: esagerando, io da molti anni credo che non mollerà più Bossi, perché… ne teme gli epiteti);
Come tutti i veri mammoni, è un irriducibile egoista, condannato ad averla sempre vinta; sempre ed a qualunque costo: beninteso, per gli altri.
Nel suo caso, anche bulimico: bulimia di denaro, di case, di successo, di potere, di consenso e gratificazioni, di donne e di sesso (egli stesso ha confidato in tv che la mamma, da piccolo, lo ingozzava di cibo); bugiardo (sembra il paradigma della triade menzogna-negazione freudiana-proiezione), refrattario a controlli e regole.
Ma un mammone dal collo taurino (riconducibile al rapporto figlio-padre? Ma mi impressionò la reazione verbale dura e un po’ volgare della mamma contro il “concorrente” Rutelli ed il “concorrente” Prodi nel corso delle rispettive campagne elettorali); non un pappamolla, ma un duro, un intemperante, un vendicativo, uno proclive a legami opachi (P2, mafia, politica), se funzionali alle sue strategie di perseguimento del successo (autorealizzazione-gratificazione).
Ciò che spinge – potentemente – il Sig. Silvio B. a reagire agli attacchi, in maniera violenta e incoercibile – soprattutto quando si basano su fatti veri ed egli stesso li riconosce tali nel suo intimo profondo (soltanto la verità, dice Freud, fa davvero male) – non è l’analisi razionale dei fatti, ma il suo amor proprio ipertrofico e malato, il suo vero tallone d’Achille, da un lato; e ciò che lo “costringe” a concupire e a fagocitare poteri e competenze sono, dall’altro, la potente pulsione bulimica e – dato l’imprinting, cioè la relazione primitiva fondamentale – l’imitazione dell’autoritario – assolutistico? – modello materno.
Ed aggiungo la prima parte del ‘post/3’ sul padre:
IL PADRE DEL SIG. SILVIO B.
“(…). Il conte banchiere racconta come “in realtà, le città giardino di Berlusconi sono servite a qualche famiglia milanese per far rientrare le valigie di soldi depositate a suo tempo in Svizzera”. Ricorda di come, un giorno, Berlusconi “va da Rasini e gli chiede di appoggiarlo su quei suoi amici, clienti o meno della banca, che hanno portato fuori tanti soldi e che, se lui ci metterà una buona parola, potrebbero dargli fiducia”. Rasini ne parla con il padre di Berlusconi, Luigi, che non vorrebbe. Ha paura che il figlio“resti schiacciato dalla sua ambizione”. Ma Rasini, come ha fatto altre volte, non gli fa mancare il suo aiuto. “In fondo, quale migliore occasione per far tornare il denaro dal paese degli gnomi e farlo fruttare bello e pulito nelle mani di quel giovanotto che dove tocca guadagna?”.(…)”.
http://www.repubblica.it/2009/10/sezioni/cronaca/mafia-10/nebbie-fininvest/nebbie-fininvest.html
Commento:
Il padre di Silvio Berlusconi mi è parso sempre una figura poco nitida, evocata raramente anche dai giornali e soltanto per il suo ruolo di direttore della Banca Rasini.
Il figlio non ne parla mai e, tranne il torneo di calcio dedicato alla sua memoria, non conosco espliciti e pubblici riferimenti a lui. Trovo perciò molto interessante la frase evidenziata sulla sua ambizione, poiché rivela, non solo una non consentaneità tra il padre ed il figlio (fisiologico – direi – nello schema tipico freudiano del conflitto edipico), ma anche un giudizio implicito di eccessiva bramosia ed esagerata propensione al rischio, che equivale anche ad una patente di presuntuoso. [...].

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Vincesko, innazitutto rimarco anch’io di non essere uno psicologo, a un appassionato di psicologia ed in particolare di narcisismo, ma non per questo rinuncio alla possibilità di esprimere la mia opinione che si basa su letture e sensibilità, che nel tempo mi hanno dato alcune conferme. Detto questo, quello che tu chiami “mammone dal collo taurino”, io lo lego al concetto di mammone e maschilista che sostituisce i più sani concetti di: materno e paterno. A questa distorsione ho ipotizzato che possa ricondursi in qualche modo la nostra vulnerabilità nei confronti del narcisismo, che ricorre e che varrebbe la pena di approfondire. La nostra società così legata al sangue, al nucleo ristretto del vincolo familiare, in un’area in cui il dominus è la madre, manca di veri padri, quelli che dovrebbero stabilire il ponte civico, tra il nucleo familiare e l’area sociale, tra l’istinto e le regole. Nel nostro paese c’è come un circolo vizioso, in cui le donne (alcune, ma non piche), estromesse o sottovalutate nel ruolo civile, si “vendicano”, inconsciamente, esercitando il loro potere per tramite dei figli. I figli a loro volta, legati indissolubilmente e spesso patologiacamente alla madre (ovviamente con sfumature varie, i problemi psicologici sono solo un problema di quantità) non riescono ad avere un intimità matura con le donne, dato che l’intimità presupporrebbe un tradimento alla madre, unica depositaria della potenza maschile, indirizzo e controllo del figlio, al quale chiede asservimento psichico. In questo modo ci si espone al narcisismo, che altro non è che la rinuncia al proprio sé, alienazione, e sostituzione di esso con il falso sé materno (Consiglio a questo proposito la lettura dell’intera letterature di Heinz Kohut, il fondatore della “Psicologia del sé”) che per primo ha definito il termine della “Disturbo narcisistico di personalità”. Il narcisismo maligno (come altri lo definiscono) non ha niente a che vedere con una buona considerazione di sé, l’autostima, che potremmo chiamare narcisismo buono (Kohut stesso aggiunse alla definizione si sanità mentale di Freud: “La capacità di amare e lavorare” il termine “con successo”, proprio a rimarcare che una dose di narcisismo, che nasce dalla trasformazione in autostima di un rapporto sufficientemente positivo con gli/l’educatore, è utile alla vita), il narcisismo maligno invece è abdicazione, asservimento ad una richiesta di dedizione, formulata dall’educatore che abbina “aspettative ad ammirazioni eccessive” ma trasmesse in modo freddo e distaccato. Il dolore che origina dall’aspettativa mancata di amore gratuito esercitata da una madre (ed in seconda battuta dal padre) consapevole di tale ruolo, viene contrastato da una difensiva separazione tra sensazioni ed emozioni, che mette a quest’ultima una specie di sordina, dando luogo, insieme ad una complessa altra catena si effetti, alla mancanza di empatia che si configura come la caratteristica più rilevante del disturbo narcisistico. L’unica coerenza del narcisista è fare ciò che la madre chiede, profondamente. Tutto viene ricondotto a questo.
Qualcuno dice che i matti non sono prevedibili, invece è vero completamente l’opposto. Una persona che soffre di problematiche psichiche è prevedibilissimo, stante che si conosca la sua patologia. Perché conosciuto il vincolo psichico si conosce l’area nella quale sarà costretto a vivere e dalla quale non si potrà allontanare, come un cagnolino alla catena. Mentre una persona senza catena può scegliere. per cui è meno prevedibile. In un certo senso è come un’equazione dove dato un valore alla variabile se ne ricava il valore dell’altra.

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E’ ovvio che ho fatto l’esempio del rapporto tra madre e figlio, perché è il più intimo, ma ovviamente si parla anche di un rapporto conseguenziale tra madre narcisista e figlia, oppure tra un madre virtuale, un ava come nel caso dell’opera del narcisismo femminile: la Turandot. E’ anche possibile che il padre, eserciti la dominanza narcisistica, manipolando e mettendo in ombra la madre ed esercitando un ruolo di esagerato indirizzo e controllo verso i figli. Come è anche possibile che un genitore più sano possa intervenire a protezione (ma è molto difficile) dei figli nei confronti di un genitore narciso opponendosi in qualche modo. Ne abbiamo avuto un esempio proprio guardando al “nostro”. Per cui lungi da me incolpare le donne del fenomeno narcisistico. Nella nostra società fatta di danaro di potere ed immagine, il narcisismo appare talvolta come uno strumento per la scalata sociale (senza scrupoli). Come se questo fosse una dota o un valore. Nessuno parla del prezzo terribile che un narcisista disturbato paga per questo: la rinuncia alla vita, alla possibilità di amare e di sviluppare il suo sé, una tragedia spesso non rimediabile.

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@ Icsconzero
Interessanti, le tue considerazioni.
Tre o quattro giorni fa, su Radio3, uno psicologo affermava che ormai, in Italia, non bisognerebbe parlare più di individualismo diffuso, ma di narcisismo diffuso, dilagante.
Limitandomi al Sud (sono meridionale), senza alcun intento anti-femminista, anzi come frutto di una lunga e profonda riflessione partita da un pregiudizio inizialmente positivo, io reputo la donna meridionale (prepotenza privata, assenza pubblica: binomio forse non casuale) uno dei principali fattori di conservazione e di freno nel Sud (caratteri comunque molto sottovalutati o sottaciuti), soprattutto nel suo ruolo di mamma e/o d’insegnante.
E si sa che c’è una stretta relazione tra ruolo e grado di partecipazione della donna (in economia, ma vale in generale) e indice di sviluppo di un Paese.
Allargando l’analisi all’Italia, interrogandomi su chi o che cosa fa sì che quella italiana sia una società bloccata o disequilibrata, mi sono detto che quando un fenomeno è antico, profondo e diffuso, c‘è sempre una dimensione prevalentemente storico-culturale.
Il nostro è un popolo antico, cinico, a-meritocratico e mammone.
I soggetti principali, checché se ne dica, che hanno agito e continuano ad agire in profondità e ne costituiscono il sostrato culturale più autentico e conservatore sono, da una parte, mamma-Chiesa – oscurantismo, nepotismo, controriforma, anti-giansenismo (non è l’uomo che si deve elevare per meritare la grazia, operando bene, ma il contrario, è la grazia che deve abbassarsi al livello del credente) e, dall’altra, la donna-mamma, soggetto dominante nella sfera privata. In Italia, soprattutto al Sud, vige il matriarcato. Senza studi particolari: a me consta personalmente, inferendolo dalla cerchia familiare allargata e da quella amicale.
Il disequilibrio tra i generi, nella dimensione pubblica, e quindi anche nei rapporti economici, è conseguenza del matriarcato.
Anche la peculiare questione giovanile italiana è un effetto del ruolo preponderante della donna-madre. In effetti, quella che non a caso è stata definita la “quiet generation” sembra mettere in discussione tutto quello che la mitologia, e poi la tragedia (greca, inglese, ecc.), la letteratura, la psicanalisi e la stessa osservazione del mondo animale ci hanno raccontato per millenni: il conflitto intergenerazionale, rappresentato dal rapporto conflittuale archetipico padre-figlio.
Sembra quasi che con la scomparsa della famiglia patriarcale e poi lo scemare dell’autorità paterna, ben rappresentata dall’espressione “femminilizzazione della società”, sia anche venuto meno il motivo stesso del conflitto. Purtroppo.
Da molti anni io credo fermissimamente che l’Italia abbia molto bisogno di padri – quasi assenti – e non di mamme – onnipresenti. La soluzione, come c’insegnano la psicologia, la pedagogia e, da ultimo, le neuroscienze, è nell’educazione precoce in famiglia (fin dalla gravidanza), indirizzata alle madri, ai padri ed ai figli.
http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2580796.html  (oppure http://vincesko.blogspot.com/2015/03/questione-femminile-questione.html)

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P.S.:
Educazione
Aggiungo una notazione utile sulle neuroscienze, che non ho ancora riportato nel mio ‘post’ allegato sopra (scritto in precedenza).
Fascia d’età critica.
Il periodo fondamentale è dalla gravidanza a 3 anni! E’ in questo lasso di tempo che si formano le sinapsi, che legano i neuroni, ma esse si fissano a condizione che vengano utilizzate/stimolate dall’educazione. Riporto il passo scritto da un mio recente interlocutore, Valerio_38, che lo spiega bene:
Le moderne neuroscienze hanno dimostrato che la nostra specie è affetta da una eccezionale neotenia, cosicché il cervello di un bambino appena nato è ancora immaturo. Possiede già l’intero patrimonio di neuroni (circa cento miliardi), ma tutti quei neuroni sono pressoché privi di collegamenti fra di loro. Lo sviluppo dei collegamenti (assoni e sinapsi) avviene gradualmente nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza, in parallelo alla vita fuori dall’utero. I collegamenti (in media circa diecimila per ciascun neurone) sembra si sviluppino per caso ma si stabilizzino (si fissino) soltanto se vengono “utilizzati” (gli altri si atrofizzano).
Questa plasticità del cervello infantile e adolescente è la ragione che rende così importante l’istruzione dei giovani fin dalla prima infanzia. L’istruzione determina quali sinapsi si fisseranno e quali no.
ed una mia integrazione:
Ho letto con interesse il tuo commento del 9.5 23:05 (poi gli altri) e l’ho condiviso interamente tranne in due punti: 1) laddove tu scrivi “Questa plasticità del cervello infantile e adolescente è la ragione che rende così importante l’istruzione dei giovani fin dalla prima infanzia”; e quando affermi: “Ma la distribuzione di queste differenze non dipende dalle latitudini, dipende dalla storia”.
Non dalla storia, ma dall’educazione, appunto, che deve cominciare già durante la gravidanza.

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Mi sembra che sulla radice del problema siamo d’accordo. Voglio aggiungere che anche mitologicamente, l’idea dei Padri della Patria, corrisponde ai momenti più luminosi della storia italiana: Risorgimento (e conseguente unità d’Italia) e poi, Resistenza, Liberazione e Costituzione. Quando gli uomini hanno fatto i padri nazionali e sociali, l’Italia s’è risvegliata. Quando invece come con Mussolini e Berlusconi, è stata travolta dalla componente narcisistica, ha vissuto la parte più oscura ed oscurantista. E’ l’Italia che passa dalla bocca ai genitali senza passare per il cervello ed il cuore. La seduzione e l’eccitazione pubica, impotente ed onnipotenti allo stesso tempo, cortocircuita cuore ed emozioni. La ricerca del bagno di folla esclude il contatto intimo, la declamazione sostituisce la conversazione. E’ sterilità, è una psiche bambina in un corpo adulto, una persona di potere ma impotente, perché la vera potenza sta nelle emozioni che consentono le relazioni. Un narcisista viene cresciuto come L’Unico, e non come Unico, come sarebbe giusto, è un modo per castrarlo. castrarlo della possibilità di stabilire relazioni tra pari come l’amore e l’amicizia. Una cosa che rappresenta bene il prezzo di dipendenza del narcisista sta nella domanda: Perché si solito un genitore narcisista tollera i capricci di un figlio (non parlo dei capricci giocosi e piacevoli) parlo di capricci seri che si traducono nel venire meno alle proprie responsabilità. La risposta è che tollerare i capricci fa rimanere piccoli ed i bambini tornano sempre dai genitori. Insieme alla responsabilità i genitori narcisi sottraggono la libertà del figlio di poter offrire il proprio amore ad altri. Onore ed amore sono sempre collegati. Di solito una persona che non ha onore, che non mantiene le proprie promesse, ha difficoltà ad amare. Per i genitori narcisi è una specie di garanzia di non rimanere soli, ci sarà sempre un figlio che dipende da loro. Ma in realtà è un’illusione, saranno in due ad avvitarsi nella solitudine. Per cui, attenzione al narcisismo, a quella malattia che sostituisce l’amore del potere al potere dell’amore, stiamone lontani come dalla peste. Il narcisismo (maligno) se lo conosci non ti uccide. Per cui in Italia, secondo me e, vedo che mi trovo d’accordo con te, anche forse perché anch’io ho origini del sud, ci vogliono più padri e più donne nel lavoro, nei ruoli sociali. Più regole, non è un caso che siamo così insofferenti alle regole, ed ecco perché combattere l’evasione fiscale, segno di rispetto civile, sarebbe una delle strade per una vera modernizzazione del nostro paese. altro che dire cazzo e scopo, come dice giustamente Scalfari quella non è modernizzazione è degrado. Infine concordo anche sul ruolo negativo della Chiesa, ma quella politica non quella profetica, quella di potere, quella che ipocrita che combatte per il crocefisso in tutti i posti, che vuole le radici cristiane nella Costituzione Europea, che osteggia me leggi contro l’omofobia, che non vuole la fecondazione assistita, che non fa il funerale a Welby, che condanna il padre della Englaro (vero padre ed eroe civico, come del resto alcuni preti-padri) e poi contestualizza le bestemmie del loro protetto con Monsignor Fisichella, e perfino tace quando B. gioca benedicendo in modo blasfemo, la Minetti-suora con il crocefisso sulle parti intime. Dove sono Lupi, Roccella, Giovanardi e Formigoni. Da chi è capace di tale ipocrisia, come si fa a sperare modernità?

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@ Icsconzero
Purtroppo, ormai c’è un’omologazione del Nord rispetto al Sud. E non ci sono le idee molto chiare sul CHE FARE (che è la cosa che m’interessa di più), né al Nord né al Sud, con conseguente spreco di risorse.
Sud
Per il Sud: pochi giorni fa ho assistito alla presentazione del libro “Terronismo” di Marco Demarco, direttore del Corriere del Mezzogiorno. I relatori erano ad alto livello: oltre all’autore, c’erano il prof. Massimo Lo Cicero, il presidente, Adriano Giannola, ed il direttore, Riccardo Padovani, della SVIMEZ, ed il direttore della Fondazione Mezzogiorno Europa, Alberto Gambescia.
Ascoltandoli, mi è venuto da pensare: “Certo che questi intellettuali della Magna Grecia non sanno fare 2+2 (neppure loro, come gli intellettuali che popolano i vari blog, che frequento da 2 anni e mezzo)”.
Divertenti (si fa per dire) le risposte alla domanda posta nel secondo giro della discussione: (se e) perché i meridionali sono diversi dai settentrionali, la stessa domanda che un giornalista pose nel 1900 ai principali intellettuali italiani: l’80% di loro rispose: per un fatto antropologico (diagnosi che io avevo anticipato alla signora che mi sedeva accanto), escludendo che dipendesse dal clima.
Demarco ha risposto che non era d’accordo, perché era come accettare un determinismo della condizione del Sud. (Io subito ho pensato: se lo sente il colto Valerio_38, che sta spiegando, nel ‘post’ del blog del prof. O. su “Repubblica”, che l’evoluzione dell’uomo, da 10 mila anni a questa parte, è frutto soprattutto della cultura).
Il prof. Massimo Lo Cicero (che, detto per inciso, ha dato lo stesso mio giudizio sulla “bottegaia” Merkel) s’è tenuto sulle generali, preoccupandosi piuttosto di dire che bisogna salvare anche Napoli assieme al resto del Sud.
Il presidente della SVIMEZ, Adriano Giannola, non napoletano, ha detto che sono uguali (al che ho dissentito).
Subito dopo, però, il direttore della SVIMEZ, Riccardo Padovani, che pure tendeva ad incolpare principalmente la classe dirigente meridionale (et pour cause), ha invece detto che non sono uguali, per un fatto di organizzazione (ed io ho assentito vistosamente, ma dicendo ai vicini che quella è una conseguenza).
Perché la determinante (come sto scrivendo da quasi 3 anni nei miei ‘post’ e commenti nel web, e prima altrove) è una causa “culturale, in senso antropologico” (allegando la relativa voce di Wikipedia, che è buona http://it.wikipedia.org/wiki/Cultura).
E pensare che nel libro c’è, la spiegazione: quando riporta, per stigmatizzare il razzismo all’incontrario del movimento neo-borbonico contro il Nord, la frase orgogliosa del principe di Salina, ne “Il Gattopardo”, quando in inglese dice: “ I Garibaldini sono venuti per imparare le nostre buone maniere, perché noi siamo dei”.
Ma la spiegazione è nel passo del “Gattopardo”, in cui il principe, rivolto agli ufficiali inglesi che gli sottolineano la bellezza del suo palazzo, appetto alla bruttezza e sporcizia del quartiere, egli risponde: “I Siciliani si credono dei e quindi perfetti, non hanno bisogno di migliorare”.
Questo è il vero sostrato cultural-antropologico (alimentato-aggravato dal matriarcato e dall’influenza di mamma-Chiesa) dell’arretratezza del Sud.
Dai dati, risulta che anche la fredda Germania dell’Est (cfr. “Banca d’Italia – Mezzogiorno e politiche regionali”, destinataria di imponenti risorse dopo l’unificazione (molto superiori a quelle riversate nel nostro Mezzogiorno), dopo aver migliorato notevolmente tutti i propri indicatori in un arco temporale relativamente breve, non riesce a colmare i gap, a parere di molti, per motivi culturali.
E così ho scritto a Marco Demarco una lunga lettera.
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Nord
Per il Nord: lo vedo seguendo le proposte politiche e i DdL. Tempo fa, ho avuto una discussione emblematica via web con una giovane dirigente emiliana del PD sul tema della discriminazione di genere.
Ella sostiene: “E’ una discriminazione che partendo dal disequilibrio fra i ruoli all’interno della famiglia” richiede di “cominciare a condurre un’adeguata campagna d’informazione sulla realtà del mondo femminile italiano, a partire dalla scuola”.
Io ho obiettato: “Scusami, come a partire dalla scuola? Nasce in famiglia e vuoi partire dalla scuola? E’ un po’ come chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati. Vuoi curare la “malattia” (non si guarisce quasi mai dalle malattie) anziché prevenirla, che è più facile e meno costoso? La logica – scrive Musil ne “L’uomo senza qualità” – è quella cosa scomoda che fa discendere il significato di una frase da quella precedente. Perché trovi “scomodo” collocare il problema là dove esso ha origine? Comunque mi sono accorto che parecchi, soprattutto donne, trovano “scomodo” partire da lì …
Ella sostiene ancora (in linea con ciò che si dice spesso): “Secondo le statistiche le donne si impegnano di più negli studi e ottengono risultati migliori rispetto ai maschi”.
Io ho obiettato: “Questa è un po’ una leggenda metropolitana, almeno per i ragazzi di Scuola Media: secondo il Rapporto 2009 dell’INVALSI (par. 4.2, tavv. 6 e 6a), al Centro-Nord le ragazze sono più brave in italiano, i ragazzi in matematica; al Sud non ci sono differenze. Dopo, non so, forse, un 5-7% di donne raggiunge anche l’eccellenza, ma il restante 93-95%?”. (I laureati, in fondo, sono soltanto 160 mila all’anno).
Ella sostiene ancora: “Molte ragazze hanno semplicemente perso la volontà di battersi davvero per qualcosa”.
“Ecco, le ho detto, questo è il punto cruciale: solo lottando si ottengono le cose, se le donne rinunciano a farlo, siamo tutti fritti. In Italia, soprattutto al Sud (da secoli), pare sussistere una sorta di “divisione nazionale del potere”: le donne comandano in casa (e forse nella scuola), gli uomini fuori dalla casa; urge un riequilibrio e una redistribuzione del potere politico, ma le donne latitano: perché? Se un fenomeno è così esteso, antico e profondo, vuol dire che ha una valenza e una dimensione “culturale” e quindi esige una soluzione “culturale”, cioè educativa, a partire dalla famiglia e dal suo perno educativo: la madre. Scrive la psicanalista Simona Argentieri – una delle protagoniste del dibattito su l’Unita sul silenzio delle donne – (in “Specchio delle mie brame”, Psycomedia) che il rapporto con la madre è fondamentale nella costruzione della personalità di ciascuno e parla di “primitivo imprinting relazionale”.
Occorre una rivoluzione culturale; occorre che la donna rinunci ad una parte del suo potere tra le mura domestiche – dove si formano i paradigmi culturali, che deve contribuire a cambiare -, a favore di un suo più marcato ruolo pubblico, di una presenza più incisiva nei posti dove si fanno le leggi, che sono in rapporto biunivoco con il retaggio culturale: ne sono influenzate e lo influenzano.
Occorre essere consapevoli che la questione femminile, a ben vedere, è il nodo cruciale italiano, dalla cui soluzione dipendono tante altre questioni: dallo sviluppo economico alla parità uomo-donna, alle disuguaglianze di reddito e di ricchezza, alla scuola, all’educazione, alla tv, alle aziende, al Mezzogiorno.

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Una volta sentii dire Gerardo Chiaromonte ad un festival dell’Unità, quando ancora c’era il PCI, che la liberazione della donna coincideva con la liberazione dell’uomo. Alla luce di quello che ci stiamo dicendo quella frase fotografava chiaramente il problema. Più una donna amplia i suoi scenari economico sociali e meno avverte e rischia la necessità di dover esercitare i potenti poteri della dipendenza affettiva.
Pur conservando ciascuno le proprie peculiarità, i ruoli sarebbero più stemperati e si rischierebbe meno la patologia mediando nella ripartizione dei compiti.
detto questo e ritornando al tema del narcisismo, questo io ritengo che la rete internet ci venga, sia l’antidoto, perché sostituisce i contenuti all’immagine. Nella psicologia del sé non c’è contraddizione tra l’io ed il noi, l’individuo si forma nella comunità, si struttura proprio nel confronto con gli altri, senza per questo perdere la sua individualità. Ciò che collega le due entità è la “relazione”. Questa è diventata la parola magica della mia vita. In uno stesso termine ritrovo sia la relazione logica, quella che lega tanto le associazioni logiche, che la relazioni affettive, quella che inizia nel rapporto con l’educatore primario e che prosegue costantemente per tutta la vita. Ora il narcisismo è la negazione della relazione, perché l’impedisce a monte, dato che essa si esaurisce in una fusione forzata con l’educatore. E’ una relazione che impedisce tutte le altre. La conseguenza è che il figlio narciso, blocca la sua crescita psichica ad un’età della prima infanzia e continua a vivere in un eterno presente perché sono le relazioni che storicizzano la vita e fanno evolvere la personalità. Di solito la difesa contro il fluire della vita è la distruttività verso la vita degli altri, il tentativo di congelarla attraverso le stesse forme manipolative che si sono subite. La seconda difesa di solito è quella di costruire una realtà virtuale, di reinventarla ogni volta perché possa sempre adattarsi al mondo che il narcisista si rappresenta con lo specchio delle sue brame. Ora non è un caso che la televisione diventi il mezzo con cui il grande truccatore, quello che ho soprannominato, l’Imperatore “Cerone”, ha successo. Perché la televisione consente a chi la controlla di reinventare la realtà adattandola alle proprie necessità (difensive) e si presta alla manipolazione, un po’ come con le dinamiche di vendita (fate credere che abbiamo il sole in tasca, parlate alle persone come se avessero 12 anni) e alla conquista del potere (”l’uomo che non può chiedere mai” ha bisogno del potere per esigere: denaro, comando e seduzione).
Ora, invece, internet a differenza della televisione, che produce i suoi effetti in un rapporto unidirezionale, non relazionale tra pari, produce i suoi effetti in modo bilaterale, anzi multilaterale, la realtà non può venire manipolata perché il giudizio viene assegnato dagli stessi frequentatori, sulla base di rating, di giudizi attivi. E’ questo che decreterà la fine del mondo di cartapesta, del Truman Show che si è fatto vita, vita nostra. Internet NON è manipolabile, perché la relazione è connaturata in essa. Ed è una relazione protetta perché è fatta in campo aperto, il valore di una cosa esiste fintanto che vale per chi la utilizza. Non viene assegnato per default e imposto, è scelto. E’ il mondo del “Pull Model” che si sostituisce al “Push Model”. Scelgo io chi seguire, un telecomando all’ennesima potenza e che si basa sulla saggezza collettiva. Berlusconi e tutti i narcisi del mondo ci muoiono come i vampiri al sorgere del giorno.


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